VAN DE ZITA
forse il paradiso è fatto così
14 giugno 2022
Sveglia presto in questo martedì di Giugno visto che le temperature del periodo più alte del solito e io non ho mai troppa voglia di soffrirle. Mi metto in macchina alle 6 e senza correre mi dirigo in val di Zoldo. Come al solito l’autostrada dopo Vittorio Veneto è un susseguirsi di lavori. Mi chiedo quando finiranno, sembrano infiniti, e ringrazio dell’ora visto che il traffico è pressoché assente.
Non mi fermo a Longarone per il solito caffè, la colazione abbondante ed il buon sonno non me ne fanno sentire la necessità, e così punto a Soffranco. Arrivato al piccolo paese mi fermo davanti a un cartello all’inizio della strada che dovrebbe farmi avvicinare al sentiero CAI 520 che recita “divieto di transito”. Ci sono dei lavori. Imprecazione. Oggi l’idea era quella di salire fino al Van de Zita, posto che non ho mai visto e che tutti definiscono meraviglioso, ma farsi anche qualche chilometro d’asfalto mi farebbe perdere troppo tempo visto che a disposizione non ho molte ore e per le 2 del pomeriggio vorrei/dovrei essere a casa.
Pazienza. Decido ugualmente di salire fino al rifugio Pian de Fontana e poi si vedrà.
Così avanzo sulla Citroen nella val del Grisol fin quando altri cartelli e un cancello, per ora ancora aperto, mi obbligano a parcheggiare. Giro l’auto e trovo parcheggio in una piazzola poco sotto.
Ora non mi resta che camminare.
Faccio scendere Zoe e mi carico lo zaino. Si va.
Il clima è fresco, cammino veloce per cercare di lasciarmi alle spalle questo tratto asfaltato il prima possibile e finalmente ecco il Pont de la Costa Granda. Ho perso quasi mezz’ora e già penso che ne perderò almeno un’altra al ritorno. Che palle.
Ora la strada inizia a prendere un po’ di pendenza oltre che essere in terra. Non mi guardo molto attorno e mi concentro sulla camminata. Supero una coppia di escursionisti che mi salutano calorosamente e naturalmente ricambio. Passati altri due ponti ecco l’inizio del vero e proprio sentiero. Rallento.
Questo percorso, che non regala grandi viste, non so perché ma mi è sempre piaciuto. Sarà il rumore del torrente, l’ombra degli alberi, il fondo mai troppo sconnesso, però mi lascia il tempo di perdermi nei miei pensieri e allo stesso tempo di guardarmi attorno.
Quasi senza accorgermene ecco sparire gli alberi. Sono nei pressi della casera dei Ronch, con attorno i suoi pascoli rubati al bosco, ora invasi dalla menta che al passaggio invade le narici con il suo profumo. Una foto e procedo per fermarmi poco dopo dove il torrente, in parte “ingabbiato” per portare acqua proprio all’appena passata casera, rende facile il bere non solo a Zoe. Mi soffermo a osservare una farfalla alle prese con un coloratissimo fiore di cardo dentellato. Poi con un paio di colpi d’ala prende il volo e veloce sparisce fra il verde prato.
Manca poco al rifugio, forse 250 metri di dislivello. Infatti ci arrivo in poco e considero che non è poi così tardi.
Ora la pendenza si sente. Saranno anche i mille metri fatti sotto, ma sono obbligato a rallentare per non ridurre il fiato troppo corto. Prendo come scusa una foto alla Schiara e alla Gusela del Vescovà per riposare un minuto e bere dalla borraccia. Alla fine la foto viene comunque bene.
Arrivato a quota 2000 metri slm sono quasi all’imbocco della Val de Zita de Fora. Guardo la mappa e opto per andare a vedere quella di “Entro”.
Dei camosci fanno rotolare delle rocce dal ghiaione che scende sotto le vertiginose pareti delle cime di Bianhet. Corrono via veloci quando si accorgono che sto andando verso di loro, ma in realtà quel ghiaione mai nemmeno lo sfiorerò visto che mi viene più semplice salire dei verdi per superare quasi altri 100 metri di dislivello e raggiungere un terrazzo naturale su cui finalmente si apre lo spettacolare Va de Zita de Entro. Ebbene si, chi me lo aveva descritto aveva ragione, è proprio meraviglioso. Mi siedo in contemplazione per un po’ mentre altri camosci corrono sotto le verticali rocce del Preson e alcune marmotte fischiano avvisando della mia presenza. Oltre a ciò, solo il vento smorza un silenzio rigenerante. Forse il paradiso è fatto così...
Guardo l’ora e inizio la discesa.
A metà strada dal rifugio incrocio nuovamente la coppia di escursionisti superati in salita. Due chiacchiere e li lascio proseguire verso il Talvena (hanno buona gamba di sicuro!) mentre io continuo fino alla piazzola di atterraggio per l’elicottero posta poco sopra al Pian de Fontana. Opto per una mezz’ora di relax per godermi al massimo il giro.
Io acqua con sali minerali e uno Snikers. No non la scarpa, ma la barretta di cioccolato. Per Zoe birra e salsiccia. Scherzo, prima che qualcuno chiami la protezione animali: acqua e croccantini.
Poi arriva effettivamente il momento di rientrare, anche perché ho quei trenta minuti in più da farmi…
Nella discesa, fatta con meno concentrazione, uno scivolone mi fa finire con una gamba fra le ortiche. Ahi ahi ahi! Ma la stessa mi porta a vedere qualche fragolina di bosco. O meglio, all’inizio qualche, poi sempre di più. Rosse, gustose, dolcissime. Non posso abbandonarle lì da sole, mi sembra veramente ingiusto. E così i tempi di rientro si dilatano. La mia pancia un po’ meno, perché anche se ne mangio decine non è che poi riempiano così tanto. O riempiono e non me ne accorgo? Ad ogni modo ne faccio una scorpacciata.
Quando raggiungo l’asfalto sbuffo. Quest ultimo tratto non ci voleva. Uff. Però tutto sommato finalmente sono riuscito a vedere il Van di Zita.
Ci tornerò? Sicuramente. Questo è certo. Anche con la strada chiusa da Soffranco.
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